giovedì 19 marzo 2009

Fare ancora scuola, nonostante.../3

Cari amici...
Una riflessione di Flavio Pusset, dopo l'incontro del 9 marzo


Cari amici,
vi scrivo per comunicarvi alcune mie impressioni , dopo la seconda giornata di incontri , quella dedicato alla “scuola media”.
Il dibattito secondo me ha registrato dei passi in avanti rispetto a quello del 28 febbraio, ma ha anche evidenziato che la strada per definire obiettivi praticabili e condivisi è molto lunga.
Per intanto la dicotomia fra “tirarsi fuori da tutto per rimarcare la propria diversità ed opposizione”e “gestire la situazione per ridurre i danni e salvare il salvabile”, posta in questi termini, è piuttosto nominalistica ed astratta.
Dobbiamo essere coscienti ,che in questa fase,siamo prigionieri di una tenaglia e che possiamo essere schiacciati da tutte e due le lame:
-se ci chiamiamo fuori da tutto corriamo il rischio di assumere un ruolo che ci taglia fuori da qualsiasi possibilità di agire politicamente per spostare gli equilibri, inoltre agevoliamo il processo di sfascio della scuola che è esattamente quello che la destra vuole.
-Ma se ci mettiamo a gestire tutto il gestibile, corriamo il rischio di trovarci imprigionati in un’ ottica organizzativistica in cui si é trascinati in una rincorsa a mediazioni sempre più al ribasso, al termine delle quali non sarà più possibile essere distinti da quelli che all’ inizio erano gli avversari.
Per cui la scelta non può essere fatta in astratto e una volta per tutte, ma di volta in volta, e per me sulla base di due criteri che ho cercato di indicare nella relazione, (anche se mi rendo conto del loro alto tasso di genericità). Essere rigidi sui principi e flessibili sui metodi e considerare l’effetto di ogni scelta non in modo isolato ma nei suoi rapporti con scelte fatte in precedenza ed in ambiti confinanti.
Per cui, secondo me, bisognerebbe partire da un tentativo di individuare i nostri punti di forza (pochi, ma da usare finchè siamo in tempo) e dalle nostre debolezze (parecchie, per riprendere la metafora di Daniela la polvere accumulatasi sotto i tappeti è davvero tanta).
Ad esempio da un’analisi un po’ più precisa di cosa sono oggi gli insegnanti nei vari ordini di scuola, cercando di andare oltre alla specificità del proprio posto di lavoro.
Io credo ad esempio che per un insegnante” progressista” far scuola oggi nella scuola media sia più difficile che far scuola nella primaria.
E non solo per motivi esterni( la prima adolescenza è una età più difficile e conflittuale della seconda infanzia; a 14 anni cominciano a vedersi e a pesare molto i ruoli sociali in cui i ragazzi, una volta cresciuti, si collocheranno.)
MA anche perché c’è una percezione e considerazione dei compiti diversa fra la maggioranza degli insegnanti nei due ordini di scuola.
Le debolezze della funzione degli insegnanti nella media ha degli aspetti didattici/cognitivi e degli aspetti sociologici.
C’è una forte riduzione rispetto alla scuola primaria, del ruolo di mediazione rispetto agli stili cognitivi diversi e alle diverse rappresentazioni del mondo degli allievi: si richiede di adeguarsi ad un modello unico e convergente di conoscenza che come metodologia ha la trasmissione di conoscenze da “chi sa” a “chi non sa” e come contenuti l’acquisizione precoce dei codici e dei linguaggi delle varie discipline.
Sociologicamente io credo che la maggior parte degli insegnanti delle medie non abbia mai accettato la logica di riforma del ’62 e che sia rimasta immutata nelle diverse generazioni di insegnanti che si sono succedute, l’idea di considerarsi non un anello intermedio della scuola dell’ obbligo, ma un anello iniziale della scuola superiore.
Detto un po’ brutalmente, di fronte alla possibilità che un proprio allievo sia emarginato dai processi di conoscenza la maggioranza di insegnanti delle elementari non si rassegna, la maggioranza di quelli delle medie sì.
Ma anche la scuola elementare ha le sue debolezze.
Una di queste è non saper distinguere e dare il giusto ordine di priorità alle diverse funzioni che assume la scuola:di costruzione di competenze e conoscenza, di formatrice di cittadini, di risposta a bisogni sociali.
Quante compresenze sacrificate in certe classi per permettere ad altre di funzionare a 40 ore?Quanti rischi che nella percezione dei genitori la scuola assuma la funzione prevalente di babysitteraggio di stato?
La politica della destra intercetta ,mette a nudo e amplifica le nostre debolezze.
Propone un modello di scuola povero culturalmente e monocorde,incentiva un aumento della selezione e una canalizzazione precoce attraverso l’uso dei voti; soddisfa possibilmente le richieste delle famiglie in termini di orario , distruggendo contemporaneamente la qualità e la possibilità di incidere sulle differenze di partenza.
Credo che dobbiamo cercare di fare tutti uno sforzo di elaborazione che concretizzi certe parole , tenendo conto della situazione in cui siamo.
Ad esempio cosa può significare il superamento della rigidità per cui tutti gli allievi fanno tutto allo stesso modo?
La differenziazione degli obiettivi a seconda degli allievi?(avevano dunque ragione Moratti e Bertagna?); l’ acquisizione degli stessi obiettivi attraverso tempi diversi?La riproposizione di gruppi di livello?;L’ acquisizione del modello anglosassone secondo cui la scuola è fatta di poche cose obbligatorie uguali per tutti e molte attività opzionali a libera scelta?Sono scelte che possono avere conseguenze molto diverse .
E a quale modello di insegnante ci rivolgiamo?Possiamo essere d’accordo tutti che la situazione migliore sarebbe quella di un insegnante che svolge a scuola, o in luoghi che con la scuola possono essere collegati, la maggior parte del proprio lavoro, che si confronta con i colleghi sulla progettazione e sulla valutazione, vedendo fra l’ altro anche riconosciuto economicamente questa sua funzione.
Ma quest’ ottica non siamo riusciti a renderla vincente né quando la fiducia nella scuola come mezzo di promozione culturale e formazione di valori comuni era patrimonio di un strato ben più vasto di insegnanti; né quando la sinistra teoricamente governava. Come possiamo pensare che sia una prospettiva credibile oggi quando anche gli ultimi rimasugli di questa concezione (ad esempio le due ore di programmazione settimanale per gli insegnanti elementari) ci vengono tolte?
Dobbiamo lavorare con umiltà per riempire di tappe intermedie i nostri obiettivi e per verificarne spesso la validità in corso d’opera.
Altrimenti faremo sicuramente la fine dei cavalieri citati da Gino nella sua relazione, bella e ricca di sollecitazioni.
Lasciamo per un momento perdere che nella realtà la maggior parte di questi cavalieri fossero biechi tagliagole e fetenti stupratori; assumiamone per un momento una concezione idealizzata di portatori di un modello di combattere, ma anche di vivere, basato su valori.
Ma più di cent’anni prima della situazione citata da Gino, che mi pare si riferisca al 1477, gli antenati di quei cavalieri avevano già subito una lezione. A Crecy, nel 1346, erano stati decimati e distrutti, infilzati dalle frecce lanciate dagli archi da battaglia degli arcieri inglesi di Edoardo III°:
Ma non avevano imparato nulla .

Flavio Pusset, 10 marzo 2009

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